È il primo sisma in cui si sono manifestate platealmente le conseguenze di “classe” che può provocare una calamità naturale: prima con la morte di lavoratrici e lavoratori rimasti sepolti dai capannoni nei quali costruivano ogni giorno il mito dell’operosità emiliana e poi con il difficile accesso alle risorse per la ricostruzione.
Ma è anche il
primo sisma caratterizzato da una fortissima lontananza dello Stato dai suoi cittadini che soffrono. Un sisma
che è stato vissuto dai Governi Monti e Letta come una seccatura economica nel
lavoro di messa in ordine dei conti (addirittura il Governo Monti propose un
indennizzo dell’80% del danno) e ora è affrontato con provvedimenti
insufficienti dal Governo Renzi.
È il primo sisma
in cui ai terremotati che hanno perso la casa, a chi ha perso il lavoro, agli
artigiani e alle aziende che hanno avuto il capannone inagibile o subito cali
di fatturato è stato chiesto di pagare
le tasse come se nulla fosse successo, con la gentile concessione di un
mutuo a tasso zero per le imprese (quindi pagato dalla collettività) da
restituire in due anni.
È il primo sisma
a cui a cui ai cittadini sulla cui casa inagibile grava un mutuo è stato chiesto il pagamento del
finanziamento rateale come se nulla fosse successo.
È il primo sisma
in cui emerge netta la differenza tra
una ricostruzione degli edifici pubblici quasi ultimata e una ricostruzione
privata che procede troppo lentamente. Tutt’oggi sono pochi coloro che
hanno completato le pratiche per la ricostruzione e ottenuto la garanzia che
saranno rimborsati.
Il terremoto che
si è verificato in Emilia, e il conseguente disagio sociale che sta provocando
tra la popolazione di queste terre, può essere assunto come metafora della crisi sociale provocata
dalla crisi del modello capitalistico. E così, come la crisi di sistema
nella quale ci troviamo, anche la devastazione prodotta da un fenomeno naturale
come il terremoto avrà una ricaduta e delle conseguenze che non sono uguali per
tutti. Di nuovo, i più colpiti saranno i ceti meno abbienti, i lavoratori, i
precari, i piccoli artigiani, gli immigrati.
Quindi, “che fare”? Oggi, a due anni di
distanza dal sisma, ci rendiamo conto che c’è ancora tantissimo lavoro da fare,
soprattutto sul versante politico nel proseguire la battaglia perchè i diritti
dei cittadini colpiti dal sisma siano garantiti e rispettati, oggi per gli
emiliani e domani per tutte le comunità che saranno colpite da calamità
naturali.
Tre punti sono fondamentali:
1) Vogliamo per l’Emilia
di oggi la garanzia del rimborso
integrale e tempestivo del danno da sisma.
2) Vogliamo per
l’Italia di domani un grande piano di
messa in sicurezza sismica e idrogeologica del territorio. Vogliamo
trasformare l’Italia nel più grande cantiere d’Europa con tante piccole opere
diffuse su tutto il territorio nazionale, che avrebbero il merito di creare
occupazione stabile e di qualità e rimettere in moto settori dell’economia oggi
fermi.
3) Vogliamo per
l’Italia di domani una legge sulle
calamità naturali che definisca procedure di intervento per l’emergenza e
la ricostruzione per non essere di nuovo impreparati al prossimo evento
calamitoso. Una legge basata sulla partecipazione delle comunità locali, con
tutte le sue forme organizzate, in tutte le fasi di intervento per evitare che
oltre alla distruzione materiale si distruggano anche le relazioni umane e
sociali.
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